Come evitare l’effetto “buzzword” e investire nell’intelligenza artificiale per migliorare processi, risparmiare tempo e diventare più competitivi.
di Matteo Franzosi, founder e Ceo di AGM Solutions
Negli ultimi due anni e mezzo, l’intelligenza artificiale è diventata protagonista indiscussa del dibattito sull’innovazione. Sembra che ogni nuova soluzione tecnologica debba includere, in qualche modo, l’acronimo “AI” per essere considerata all’avanguardia. Il rischio di trattarla come una buzzword, come un passe-partout per sembrare innovativi, è cresciuto e l’assunto “ci serve l’intelligenza artificiale” è diventato quasi un mantra. Già, ma l’intelligenza artificiale ci serve per fare cosa, esattamente?
Il punto di partenza: quali problemi stiamo cercando di risolvere?
In un contesto aziendale sempre più competitivo e digitalizzato, molte piccole e medie imprese si sentono spinte – o in alcuni casi costrette – a rincorrere le mode tecnologiche per non restare indietro. Ma l’innovazione non può essere un’azione reattiva.
Nelle PMI ogni investimento va pesato e l’adozione dell’AI deve quindi partire da un’analisi concreta delle proprie esigenze, e non dalla pressione ad avviare progetti con gli algoritmi.
Investire in un progetto di intelligenza artificiale deve partire da una domanda e a mio avviso la domanda giusta da porsi non è “Come posso usare l’AI?”, bensì “Dove stiamo sprecando tempo, energie o dati? E di conseguenza quali processi, attività o decisioni potrei migliorare grazie all’intelligenza artificiale?”. L’intelligenza artificiale, in altre parole, non è la risposta giusta se non si conosce la domanda di partenza. Non è la soluzione in cerca di un problema ma una leva per migliorare i processi che maggiormente contano per l’azienda. Serve un approccio problem-first, non solution-first.
Analizzare le esigenze reali: meno fantascienza, più concretezza
Anche se si parla molto di intelligenza artificiale, molte piccole e medie imprese ancora non sanno bene di cosa si tratti e, soprattutto, non hanno un’idea precisa di come questa tecnologia potrebbe aiutarle concretamente. In AGM siamo più che convinti che il punto di partenza sia analizzare i processi aziendali per capire dove l’AI può portare un vero vantaggio. Ci sono aree, come la gestione dei dati o le attività amministrative, che possono essere ottimizzate da subito, liberando tempo e risorse per attività più strategiche.
Da quanto abbiamo osservato sul campo in questi mesi, parlando con diverse aziende e partecipando a eventi e incontri con manager e imprenditori, è chiaro che i bisogni delle Pmi sono molto diversi da quelli di grandi aziende con maggiore disponibilità di risorse finanziarie, necessarie per avere il supporto di importanti società di consulenza e per operare in ambiti quali l’analisi predittiva. Per le piccole e medie realtà, l’esigenza chiave potrebbe limitarsi all’automazione di attività ripetitive come la gestione della posta elettronica, la fatturazione o il customer service di base e aprirsi in un secondo momento all’uso di strumenti per estrarre insight dai dati e per ottimizzare processi strategici quali possono considerarsi produzione, logistica e vendite.
Per chiudere questa prima riflessione, torno su un concetto a cui crediamo fermamente: per molte Pmi, l’obiettivo non è costruire robot senzienti o algoritmi futuristici, ma risolvere problemi quotidiani. Quali? Velocizzare procedure time-consuming come l’inserimento dati o la gestione documentale, migliorare la customer experience, analizzare i dati aziendali per prendere decisioni più rapide e informate, ottimizzare i flussi di lavoro, ridurre gli sprechi, anticipare le esigenze dei clienti.
L’AI non è un fine, ma un mezzo, una leva strategica per aumentare efficienza e qualità del lavoro. La tecnologia non è un costo: è un investimento. Ma serve farlo capire con casi d’uso semplici e metriche chiare. Se un’azienda riesce a ridurre del 30% il tempo di gestione delle richieste clienti, o a ottimizzare i propri flussi produttivi risparmiando il 20% di risorse, questo è valore misurabile. L’AI, secondo noi, va raccontata come uno strumento che permette di migliorare la produttività e, di conseguenza, la competitività.
Innovazione per pochi? Il nodo dell’accessibilità per le PMI
C’è un paradosso che spesso accompagna le tecnologie innovative che vorrei condividere con voi: nella fase iniziale del loro sviluppo sono costose, complesse e, in molti casi, fuori portata per la maggior parte delle imprese. Anche l’intelligenza artificiale ha seguito (e in parte segue ancora) questo schema. Si parla tanto di algoritmi predittivi, machine learning, automazione intelligente ma nella realtà quotidiana di moltissime Pmi italiane, che costituiscono il 90% del tessuto produttivo, l’adozione di questi strumenti è ancora lontana.
La domanda, del resto, è legittima: come può una piccola azienda manifatturiera stare al passo con una rivoluzione tecnologica che sembra fatta su misura solo per chi ha grandi budget di spesa e team specializzati?
E ancora: senza incentivi dedicati e una strategia nazionale concreta, il comparto manifatturiero italiano rischia di perdere competitività a livello globale?
Interrogativi a cui non è facile rispondere, ma vi sono alcune leve su cui riteniamo occorra puntare per rendere l’AI una risorsa realmente accessibile:
- Incentivi mirati e politiche pubbliche intelligenti
Come accaduto con l’Industria 4.0, sarebbero auspicabili strumenti fiscali e finanziari dedicati, sia nazionali che europei, che supportino l’adozione dell’AI nelle Pmi. Non solo in termini di acquisto della tecnologia, ma anche di formazione, integrazione e consulenza. - Ecosistemi locali e filiere tecnologiche
Non tutte le imprese possono (o devono) fare tutto da sole. Fare ecosistema con hub territoriali, distretti industriali, consorzi digitali e con startup o provider tech specializzati come AGM Solutions può facilitare l’accesso alle competenze e alle soluzioni, favorendo modelli di innovazione condivisa.
Soluzioni sostenibili e su misura: cosa si può fare davvero?
La buona notizia per imprenditori, manager e responsabili IT è che oggi esistono soluzioni di intelligenza artificiale pensate anche per chi non ha un reparto informatico strutturato o budget milionari da investire. Mi riferisco a servizi plug-and-play e scalabili che consentono di partire in modo graduale, con costi contenuti e risultati misurabili.
Ciò che serve davvero, e ce lo dice l’esperienza che viviamo direttamente al fianco delle aziende nostre clienti, sono quindi soluzioni che permettono di intervenire su processi ripetitivi come la logistica o il backoffice, riducendo drasticamente il consumo di tempo e risorse. C’è inoltre bisogno di strumenti che aiutino a prevedere le tendenze di mercato e a gestire grandi quantità di documenti in modo intelligente, e in tal senso il ricorso a chatbot low-code personalizzati e creati sulla base delle specifiche esigenze dell’azienda può fare oggettivamente la differenza, senza bisogno di competenze tecniche particolari. Non serve avere necessariamente in casa un data scientist, ma capire il potenziale derivante dall’applicazione della tecnologia.
Su questo aspetto vorrei fare una precisazione importante: non si tratta di sostituire le persone con l’AI, ma di liberare risorse preziose da attività a basso valore aggiunto, permettendo ai gruppi di lavoro di concentrarsi su ciò che conta davvero: innovare, servire meglio i clienti e far crescere l’azienda.
L’AI come alleata strategica
Implementare queste soluzioni richiede un investimento, è innegabile, ma nel medio-lungo periodo può portare a risparmi significativi in termini di tempo e forza lavoro. Investire sull’AI non significa seguire una moda, ma fare una scelta strategica. E come tale richiede visione, consapevolezza e una cultura dell’innovazione ben radicata. Oltre che la necessaria intelligenza umana.
L’AI “tailor-made” è oggi un’opzione. Non si tratta semplicemente di acquistare un software o di interrogare degli algoritmi: si tratta di comprendere le proprie inefficienze, di raccogliere e interpretare i dati e di progettare soluzioni su misura, anche partendo da piccoli progetti-pilota.
Cosa serve dunque fare? Mappare i processi critici, ascoltare le reali necessità delle persone che lavorano in azienda, scegliere il partner che sappia tradurre tutto questo in tecnologia utile.